A piedi scalzi. Il Cammino Kalabria Coast to Coast
di Mario Cusmai @cous_cous8
In principio ci sono le storie, dunque. Campi magnetici. Spazi di intensità. Le trame le abitano, le attraversano, e le rendono leggibili. Sono geroglifici che le significano, mappe che le raffigurano. Perché il gesto di narrare si compia nel modo più completo manca un’ultima componente chimica, la più misteriosa delle tre, l’unica che abbia a che vedere con la magia.
(Alessandro Baricco)
Quando lavoro al circolo dei miei, mi capita di sentire le chiacchiere dei vecchi che giocano alle carte. E allora ci sono quelli che parlano del tempo e quelli che raccontano le storie. Cose che gli sono successe da giovani, che ne so. E devi vedere come se le ricordano, gli si illuminano gli occhi!
(Basilicata Coast To Coast)
Esistono sentieri che richiamano alle armi il cuore, dove le emozioni escono dall’alveo di un fiume e irrobustiscono di bellezza i ponti in pietra dell’anima. Si percorrono scalzi, con la stessa esaltazione di un bambino. Sono cammini che scombinano i punti cardinali dell’Io, a ricordare che la vera bussola è lo spirito, non i piedi. Non conosce argini la magia con cui lo Ionio e il Tirreno irrorano il seme di ogni tappa conquistata. I canti eufonici di aironi cenerini si mescolano con i sussurri di voci antiche. Le pupille luccicano di fronte ai ruderi impregnati di incanto e storia. Le carezze dei pioppi e dei faggi rassicurano i ricordi, come saggi eremiti che insegnano a non avere paura. Ogni sorgente è una mano che rinfresca la vita, ogni campo di grano è una radura di sogni. Si avverte l’odore della terra: profuma di valori, di incontri e di racconti, di speranze mai estinte. Siamo fatti di passi, siamo fatti di impronte, come la terra di Calabria che ti benedice la fronte e ti converte alla pace interiore.
(dedica al Cammino Kalabria Coast To Coast di Marco Angilletti, poeta e scrittore)
Prologo
A “piedi scarzi”, anzi, a piedi scalzi come il Sig. Antonio che ha percorso a piedi nudi l’intero percorso, 55 km, del Cammino Kalabria Coast To Coast (KCTC). Lo conosciamo vicino Petrizzi, punto di arrivo della prima tappa, dove gestisce insieme alla famiglia, in particolare con la moglie Terenzia e il figlio Flavio, l’ultimo di quattro figli maschi, l’Agriturismo Seminaroti, una sorta di raffinata e sorprendente “Cittadella” immersa nel cuore verde pulsante della Natura.
«Si ergeva imponente fino al livello della cerchia più alta, sormontato da un bastione che permetteva a coloro che si trovavano nella Cittadella di scrutare dalla cima impervia, come marinai dall’alto di una nave di roccia, il Gran Cancello situato settecento piedi più in basso.» (J. R. R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, p. 929)
Non solo i piedi, come ci suggerisce la dedica al Cammino creata dal poeta Marco Angilletti, ma anche e soprattutto lo spirito, vera bussola interiore. Come la ‘bussola d’oro’ che ritroviamo posizionato sopra il ‘Cancello’ d’ingresso dell’Agriturismo; un triangolo alchemico che connette corpo (piedi), mente e spirito, l’anima dei viandanti e degli ospiti nel momento in cui varcano la soglia che segna il passaggio ancestrale, quasi mitico, dal mondo ordinario a quello magicamente straordinario.
Il Sig. Antonio ci racconta la sua storia. Giovanissimo, si trasferisce nel Nord Italia per andare a lavorare come operaio edile in Piemonte. Ma lo stigma nei confronti dei ‘migranti’ provenienti dal Sud Italia è troppo evidente. “Terrone, terroncino, boccia”: con queste barbare espressioni viene costantemente etichettato. Un bel giorno decide di prendere il primo treno disponibile e partire per la Francia; arrivato a destinazione, in stazione mentre scende dalla carrozza, una persona si rivolge a lui per chiedere permesso con le parole che seguono: “Pardon Monsieur”. “Ho appena messo piede in un nuovo Paese, e già mi chiamano Signore”, riflette tra sé e sé Antonio. Rimarrà a lavorare a Strasburgo per 20 anni. Nel 1971, dopo aver conquistato Terenzia a Itri attendendola in romantici appostamenti fuori la camiceria di Itri, la sposa e, terminata l’esperienza francese, tornano a vivere a Petrizzi; e poi negli anni ‘90 inaugurano l’Agriturismo Seminaroti. Il Cammino Kalabria Coast to Coast ‘vede la luce’ nel luglio del 2020 e una signora di Brescia è stata la prima persona a percorrerlo. Antonio non poteva permettere che questo record appartenesse a un forestiero. E allora, una mattina alle prime luci dell’alba, si incammina e attraversa a piedi scalzi l’intero percorso!!!
A piedi nudi come i Na’vi, gli umanoidi abitanti di Pandora, un mondo ‘primordiale’ ricoperto da foreste pluviali, in Avatar, il lungometraggio di fantascienza ideato dal genio visionario del regista di origini canadesi James Cameron. Il legame, il filo quasi invisibile che intercorre tra i Na’vi e la fauna selvatica di Pandora, ci aiuta a comprendere che tutto in natura è connesso: una sorta di rete neurale, non solo metaforica, che collega la vita vegetale e animale.
“Ti vedo” è senza dubbio una delle frasi più suggestive e potenti di Avatar.
Ti vedo come sei nel profondo di te, dove vive la tua anima.
Ti vedo senza giudicarti, senza ‘accusarti’ di accogliere tutto.
Ti vedo senza aspettarmi nulla da te perché le mie aspettative e le mie proiezioni potrebbero danneggiarti e oscurare la tua identità profonda.
Ti vedo in tutte le tue dimensioni e ricco di tutte le tue esperienze.
Ti vedo perché so già che sei un essere di luce eterna essenza, completo e perfetto.
Ti vedo, è il mio modo di accoglierti incondizionatamente e in questo modo permetto anche a te di vedere te stesso e di accoglierti come sei.
Ti vedo!
La chiamata all’azione: lasciare un’impronta etica nel percorso naturalistico
Quando Rocco, curioso e raffinato esploratore della ‘bellezza’, mi racconta dell’esistenza di questo Cammino recensito anche dal Time come uno dei 50 luoghi a livello ‘worldwide’ imperdibili per il 2022 – una camminata attraverso lo Stivale -, non perdo un attimo e coinvolgo subito Giuseppe e Leandro, due cari amici: in quattro e quattr’otto organizziamo il viaggio tra studio del tracciato, check-in online, prenotazioni, varie ed eventuali.
Giuseppe, appassionato di trekking in montagna e alla prima esperienza in un Cammino, nel ‘lontano’ 2019 mi aveva iniziato alla pratica del nordic walking sul monte Skopos, nella paradisiaca isola greca di Zante. D’altronde, proprio in questa nuova avventura, avrei contraccambiato il favore, avviandolo alla pratica della vaselina… sui piedi, una manna dal cielo per evitare il formarsi di fastidiose, e dolorose, vesciche. Con Leandro, ci eravamo già sperimentati lo scorso anno con il Cammino Francescano della Marca.
Con queste parole è presentato il Cammino nella home page del sito web ufficiale:
” Dalle bianche spiagge ioniche della Costa degli Aranci, partendo da Soverato e attraversando il territorio montano delle Preserre Calabre nel loro tratto più breve, passando per i suggestivi borghi di Petrizzi, San Vito sullo Ionio e Monterosso Calabro, il Cammino Kalabria Coast to Coast, giunge nella pittoresca Pizzo, arroccata su uno sperone tufaceo che si erge a picco sulle dorate spiagge tirreniche della Costa degli Dei. Il Cammino Kalabria Coast to Coast, è un percorso naturalistico di 55 km, da assaporare a passo lento tra distese di ulivi secolari, filari di vite, campi di grano e fichi d’ india, boschi di castagni e faggi secolari, pittoresche pietre granitiche modellate dal tempo e la magnifica oasi naturalistica del lago Angitola. Ma è soprattutto un viaggio emozionale e sensoriale all’interno di una Calabria lontana dalle consuete rotte turistiche, alla scoperta di quegli antichi sapori e valori che sono le radici di questa meravigliosa Terra, ricca di storia e cultura millenaria e dove il tempo sembra essersi fermato.
Un percorso naturalistico, un viaggio all’insegna di emozioni e sensazioni. Alla fine del Prologo, ho fatto riferimento alla relazione intima tra i Na’vi e Pandora: tutto in natura è connesso attraverso una rete neurale, non solo metaforica, che collega la vita vegetale e animale.
Ogni essere senziente è racchiuso all’interno della propria bolla sensoriale e percepisce solo un piccolo frammento di un mondo immenso. Esiste un’espressione meravigliosa per descrivere questa bolla: umwelt. Il concetto fu formalizzato e divulgato dallo zoologo tedesco Jacob von Uexküll nel 1909. Umwelt deriva dalla parola tedesca che significa “ambiente”, ma Uexküll non la usava per riferirsi a quello che circonda un animale, bensì in modo specifico a quella parte dell’ambiente che un’animale può sentire e percepire: la propria ‘galassia’ percettiva. Il nostro umwelt è tutto ciò che sappiamo, e quindi lo scambiamo facilmente per tutto quello che c’è da sapere. Questa è un’illusione, una forma di superstizione come suggerirebbe Gregory Bateson in relazione all’oggettività, condivisa da tutto il regno animale.
Sua maestà la Carbonara, racconta il menù della trattoria da Danilo, storico ristorante incastonato nel rione Esquilino di Roma. Nel nostro contesto, potremmo attribuire questa specifica alla vitamina N: sua Maestà la Natura.
Il celebre Maestro Leopold Stokowski, direttore della Philadelphia Orchestra per la registrazione dei brani di Fantasia, il lungometraggio animato realizzato dalla Disney nel 1940, spiego che nella Sesta Sinfonia Ludwig Beethoven intendeva esprimere “il senso di gioia che si prova quando si va in campagna. Non appena poteva, in primavera, Beethoven usciva da Vienna e si recava in campagna. Walt Disney voleva che l’episodio specifico di Fantasia, in cui sarebbe stata inserito il brano del compositore tedesco, la Sinfonia Pastorale (una festa campestre con vari personaggi del mito greco-romano), veicolasse “una sensazione di libertà, insieme agli animali e alle persone che vivono quei luoghi. È quello che si prova quando si va in campagna. Si fugge dal mondo di tutti i giorni, dai conflitti e dalle difficoltà, per arrivare in un luogo in cui tutto è libero e bello”.
Ma la maestosità della natura non consiste solamente negli spazi sconfinati dei canyon e nelle montagne. Possiamo trovarla anche nelle terre selvagge della percezione, appena svoltato l’angolo, negli spazi che si trovano al di fuori del nostro umwelt e all’interno di quello di altri animali. Cogliere il mondo attraverso i sensi degli altri vuol dire scoprire lo splendore nella familiarità e il sacro nel mondano. Le meraviglie esistono nel nostro giardino, dove le api prendono la misura dei campi elettrici di un fiore, le cicaline inviano melodiche vibrazioni attraverso gli steli delle piante e gli uccelli contemplano le tavolozze nascoste dei colori ultravioletti sulle piume dei loro compagni di stormo. La natura selvaggia non è lontana. Ci siamo continuamente immersi e lì la possiamo immaginare, assaporare e proteggere. Abbiamo usato la tecnologia per rendere visibile l’invisibile e udibile l’inudibile: riappropriamoci pienamente delle nostre esperienze ed esplorazioni sensoriali.
Grazie alla nostra curiosità e immaginazione, possiamo provare ad assumere punti di vista differenti dal nostro. Questo è un dono importante, di cui dovremmo essere grati, ma che comporta anche una pesante responsabilità, un ripristino di una spiccata attitudine etica che sembra essere scomparsa in questi nostri tempi bui; gli stessi tempi bui che Bertold Brecht aveva incanalato durante il suo esilio in Danimarca sotto il nazismo nello slancio poetico di “A chi esita”, un brano che fa risuonare con grande emozione l’attitudine etica nei nostri cuori:
Tu dici: per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano. Dopo che si è lavorato tanti anni noi siamo ora in una condizione più difficile di quando si era cominciato. E il nemico ci sta innanzi più potente che mai. Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso un’apparenza invincibile. E noi abbiamo commesso degli errori, non si può negarlo. Siamo sempre di meno. Le nostre parole sono confuse. Una parte delle nostre parole le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili. Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? Qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi? O dobbiamo contare sulla buona sorte? Questo tu chiedi. Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua.
La poesia viene recitata in maniera emozionante da Toni Servillo nel film di Roberto
Andò del 2013 Viva la libertà. Servillo interpreta il doppio ruolo di Enrico Oliveri – uomo di sinistra e segretario del principale partito dell’opposizione che, contestato durante un congresso e scoraggiato da sondaggi sempre più negativi, decide di abbandonare il Paese e il partito – e di Giovanni Ernani – gemello diverso di Enrico Oliveri, professore di filosofia affetto da una depressione bipolare, appena dimesso da una clinica psichiatrica – cui il segretario personale di Oliveri propone di sostituirsi al fratello sul palcoscenico della politica. Giovanni non si fa pregare e, divertito, indossa gli scomodi panni del fratello, sorprendendo molto presto giornalisti, opinione pubblica e membri del partito. A colpi di poesia e di buona coscienza, Giovanni incoraggia gli italiani a ricominciare ‘brechtianamente’ da se stessi e risale rapidamente e in maniera trionfale la scala del gradimento nei sondaggi elettorali… ma questa è un’altra storia!
Essendo l’unica specie che può avvicinarsi alla comprensione di altri universi paralleli di umwelt, ma anche la specie maggiormente responsabile del progressivo sgretolamento annientante quegli imperi sensoriali, spetta a NOI mettere a frutto tutta la portata della nostra empatia e il nostro ingegno inventivo per proteggere la Natura, le altre creature e il loro modo unico di percepire il mondo che condividiamo.
Un’immersione cristallina dallo Ionio al Tirreno: zoom sulle 3 tappe
Il viaggio in treno per raggiungere Soverato, punto di partenza del KCTC, benché lungo (oltre 6 ore di percorrenza, con 2 cambi e altrettante coincidenze), è stato inaspettatamente piacevole e rispettoso della ‘tabella di marcia’. In particolare, osservare dal finestrino lo scorrere del paesaggio, come fotogrammi di singole immagini impresse su una pellicola cinematografica, che man mano si diversificava dal Cilento alla costa calabrese, ammirando i primi sprazzi e spruzzi di mare. E poi, il breve percorso da Catanzaro Lido a Soverato, in un trenino di altri tempi dotato di una sola carrozza: sembrava di essere in uno di quegli scenari da far west rappresentati nei capolavori del regista Sergio Leone, accompagnati dalle poetiche note musicali del Maestro Ennio Morricone.
Soverato, situata nel Golfo di Squillace, è conosciuta come la Perla dello Ionio per il suo mare cristallino e le spiagge lunghe e sabbiose.
Il suo simbolo è rappresentato dal cavalluccio marino, in quanto nelle sue acque vivono due specie di ippocampi, l’Hippocampus hippocampus e l’Hippocampus guttulatus, entrambi (purtroppo) in via di estinzione.
Il nome della graziosa cittadina deriva da Suberatum, che significa terra dei sugheri, probabilmente per la notevole presenza di questi alberi nella zona.
In una serata eccessivamente afosa e umida, un colpo di coda di un’estate settembrina che sembrava non volesse terminare mai, non potevamo che scegliere il ristorante Brezza per farci coccolare da una rinfrescante ventata enogastronomica.
Indimenticabile, non solo per il palato, la frisella artigianale con datterini rossi e gialli, stracciatella e cruditè di gamberi.
Pernottiamo presso la Conchiglia 2.0, struttura ricettiva gestita da Celeste e suo cugino Riccardo. Ambiente curato e accoglienza all’insegna della cordialità, compreso un barattolino di ‘Nduja come ‘piccante’ benvenuto. Unica controindicazione: il treno che ci ha svegliato di soprassalto intorno alle 4.30 – 5.00 della ‘mattina’… una sveglia inaspettata! Io e Leandro siamo sobbalzati dal letto, mentre Giuseppe dormiva beatamente grazie ai suoi tappi per le orecchie, strategia utilizzata per proteggersi da eventuali concertini di ‘noti’ russatori seriali notturni… chissà, avranno forse avuto un rinforzo particolare a base di sughero insonorizzante, gentilmente offerto da ‘Suberatum’.
La mattina presto, prima di cominciare ufficialmente il nostro Cammino, non poteva mancare un bagno nel mar Ionio; un dolce galleggiare in una sorta di meditazione accompagnata dalla calma silenziosa delle acque trasparenti.
E poi, in vista del pranzo al sacco, abbiamo fatto scorta di viveri Da Gregorio. Gregorio e le sue collaboratrici vi accoglieranno, vestiti di tutto punto in un outfit impeccabile, con cortesia e gentilezza facendovi venire l’acquolina in bocca ancor prima di addentare i suoi prelibati panini.
La prima tappa, a dispetto dei suoi circa 13 km, è risultata essere davvero tanto impegnativa, soprattutto a causa dell’umidità e di un’intensa calura. Il percorso è esposto quasi totalmente al sole, senza la protezione di “chiome arboree”che contribuiscono a filtrare e attutire la forza dirompente dei raggi solari; non mi era mai capitato durante un Cammino di far diventare una maglietta tecnica così zuppa di sudore e ‘intrisa di umidità’, che probabilmente ne avevano fatto incrementare il suo peso specifico. Fabio dell’Agriturismo Seminaroti ci ha poi accennato della possibilità, che gli ideatori del KCTC stanno prendendo in considerazione, di modificare parte del percorso della prima tappa, dirottandolo verso un tracciato più interno di sterrato, maggiormente al riparo dal sole.
Dal villaggio Calaghena inizia una faticosa salita su strada asfaltata-sterrata fino all’imbocco di un’antica mulattiera che ci ha condotto fin quasi alla vetta del monte La Rosa, dove dall’alto abbiamo goduto di una meravigliosa vista panoramica su tutto il Golfo di Squillace. Prima di pranzare insieme, lascio riposare Giuseppe e Leandro in un’area pic nic fornita di tavoli e panche di legno e faccio una piccola deviazione per andare a visitare la stele di Sant’Antonio da Padova, patrono di Petrizzi.
Al mio ritorno, ritrovo Leandro tramortito per l’asfissiante canicola completamente disteso su uno dei tavoli di legno, utilizzato come ‘talamo’; risvegliatosi, si rende conto di aver lasciato un alone nel legno: dalla sacra sindone alla sacra sindrome, anzi alla sindone del viandante!
Come anticipato, per la sera ci fermiamo presso l’Agriturismo Seminaroti e tutti e tre rimaniamo completamente in estasi mistica per la bellezza del contesto e le prelibatezze culinarie preparate da mamma Terenzia.
La seconda tappa, diretta a Monterosso Calabro, prevede un passaggio intermedio nel paesino di San Vito sullo Ionio, che sorge nella valle degli Aurunci, ai piedi di una ridente collina, coltivata a vigneti ed uliveti a 400 metri sul livello del mare.
Dopo aver ammirato il murales realizzato nel 2020 da SMOE, un artista catanzarese, attraverso una performing art, con cui ha riprodotto sulla facciata di un muro l’immagine tipica di una donna in abiti tradizionali, nell’ambito dell’edizione Sonati vicinu: conoscere per riconoscersi, ci concediamo una pausa caffè e conosciamo Antonio Barbieri, di nome e di fatto, un signore di 81 anni. Antonio per 41 anni ha lavorato come barbiere a Lugano, in Svizzera; è poi tornato in “Africa” per utilizzare la sua stessa espressione. Appassionato, tra l’altro, di funghi, ci racconta quello che avremmo potuto trovare nella faggeta: Giuseppe, anch’egli scaltro fungarolo, lo ascolta con estrema con attenzione.
Mentre ci stiamo lasciando alle spalle San Vito, troviamo dei disegni su un muro, in stile cartelloni pubblicitari, che richiamano la nostra attenzione; in particolare quello che raffigura un clown, risveglia le nostre anime dal naso rosso: io, Giuseppe e Leandro ci siamo conosciuti nel 2014 facendo i volontari come clown di corsia.
Giunti nell’imponente foresta di faggi, ecco che Giuseppe affina vista e olfatto e tira fuori ‘dal cilindro’ la propria competenza esperta e rigorosa come patentato micologo.
Leandro e Giuseppe si sono ‘scatenati’ nella ricerca esplorativa, esercitando il loro fiuto nello scandagliare il sottobosco, e hanno ‘racimolato’ (ho svolto il ruolo di ‘osservatore partecipante’)
un prezioso bottino: numerosi Ovoli e un fungo porcino che sembrava un UFO, un oggetto ‘volante’ non identificato, ma poi ben identificato!
A riguardo, comincio un’intensa e prolungata corrispondenza digitale con Maria Teresa, la titolare del Mayflower Restaurant dove avremmo cenato a Monterosso, per avere un secondo parere, una sorta di help desk di II livello, sulla commestibilità dei funghi raccolti.
Intanto, sul nostro percorso incontriamo Vito, fungarolo da oltre 60 anni (conosce quindi la zona come le sue tasche) di un paese vicino, Polia, che con il suo Pandino 4×4 usato come ‘torre di avvistamento’ itinerante, ci mostra il raccolto pomeridiano e ci fa i complimenti per il nostro, e per la fortuna (dicesi ‘gran culo’) avuta nel trovare così tanti Ovoli. Giuseppe ama ‘declamare’ il nome dei funghi in lingua latina: L’Amanita cæsarea, volgarmente conosciuta come ovolo reale. Vito sorride e quando lo saluta, gli dice: “Ciao Latino”.
Questo aneddoto mi ha fatto tornare in mente il personaggio di Bozworth, per gli amanti del genere, nel film L’Ammazzavampiri 2, l’autista che protegge i vampiri della narrazione cinematografica e si nutre di insetti ‘sciorinandone’ il nome di riferimento in lingua latina prima di mangiarli, rigorosamente crudi come d’altronde si fa con l’insalata di Ovoli.
Vito frequenta abbastanza spesso Roma, perché uno dei figli ci lavora come dentista (l’altro figlio è chirurgo Milano) e ha recentemente acquistato un immobile in zona Casal Bruciato. Vorrebbe regalarci alcuni dei funghi che ha raccolto, ma ci dispiace privarlo di parte dell’esito della sua “caccia al tesoro” e decliniamo la generosa offerta. Allora mi chiede il numero di telefono perché intende portarci per cena due bottiglie di Cirò, il vino più antico del mondo.
Prima di uscire dalla foresta di faggi, quando meno te lo aspetti, ecco Harry Potter! Una foto, a mo’ di cartolina attaccata su un tronco di un albero
È probabile che chi l’ha lasciata, abbia scambiato il faggio per un Platano picchiatore (o Salice schiaffeggiante), una tipologia di Salice (Salix) molto rara e violenta… proprio per questo ne sono rimasto a debita distanza.
Arriviamo poi fino sulla dorsale di Monte Coppari, il punto più alto di tutto il Cammino, scoprendo progressivamente le numerose niviere e la leggendaria “pietra della fata”.
Giunti a Monterosso, ci dirigiamo presso il Palazzetto dell’orologio, dove avremmo trascorso la notte, un vero e proprio gioiellino. Rosanna, la titolare, ha tra le mani una potenziale bomboniera; dovrebbe tuttavia dedicare maggior attenzione alla cura e all’accoglienza dei propri ospiti… lei sa.
A cena, come anticipato, siamo ‘ospiti’ a casa di Maria Teresa, insieme alla mamma Soccorsa e il fratello Giuseppe; un pasto che assume il sapore dello stare in famiglia e dallo stato ‘brilloso’ grazie alle due bottiglie di Cirò gentilmente donateci da Vito: grazie Vito! Senza dimenticare i funghi sapientemente cucinati da mamma Soccorsa.
Il percorso prosegue, nella sua terza e ultima tappa, all’interno dell’oasi naturalistica del lago di Angitola tra meravigliosi scorci, luogo di riposo e riproduzione di numerose specie di uccelli tra cui l’airone cenerino, simbolo del Parco Naturale Regionale delle Serre.
Durante la discesa verso Pizzo, nelle giornate limpide, il nostro sguardo può spaziare a 180 gradi su tutto il Golfo di Sant’ Eufemia, l’isola di Stromboli e i monti dell’Orsomarso nel Parco Nazionale del Pollino con la sua vista mozzafiato sulla Costa degli Dei.
Ma poco prima di iniziare la discesa, si avvicina l’ora di pranzo. Lo stomaco brontola assai e sono impaziente di mettere qualcosa sotto i denti. Leandro sembra parlare con lo sguardo e dire: “Pazienta, mio giovane apprendista Jedi. Proseguiamo nel nostro Cammino. L’attesa saprà ricompensarci”. E, in effetti, quando meno te lo aspetti, spunta un gazebo artigianale, affacciato su un affascinante punto di vista panoramico, un posto perfetto dove fermarsi a consumare il nostro pranzo al sacco, una visione inaspettata e imprevista e per questo ancora più desiderata.
Questo episodio mi aiuta a capire come non sempre è necessario assecondare la nostra vocina interna, e quanto sia significativo praticare la pazienza e il silenzio per rallentare e abbassare ‘drasticamente’ il volume di ciò che il monaco buddhista Thích Nhất Hạnh aveva chiamato come la stazione radio Non Stop Thinking (NST), appunto il costante sintonizzarsi con la ‘vocina’ che non smette mai di chiacchierare (e parlarci).
“E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.” (Tiziano Terzani)
Negli anni 30’ del secolo scorso, lo psicologo russo Lev Vygotskij scoprì che la nostra capacità di avere un dialogo interiore si sviluppa insieme al linguaggio. A partire dall’età di due o tre anni, i bambini cominciano a parlare ad alta voce con se stessi mentre giocano. Vygotskij pensava che quella chiacchiera costituisse un primo passo verso la costruzione del dialogo interiore, una trasformazione che si completa gradualmente intorno ai cinque anni. Le successive scansioni cerebrali hanno confermato quest’idea, dimostrando che il discorso interiore prende forma nel medesimo arco temporale in cui maturano le connessioni neurali tra le aree cerebrali coinvolte nella ‘produzione’ e nella comprensione del linguaggio. Il contenuto del dialogo, ovvero ciò che ‘ci raccontiamo’ e la correlata portata emotiva, sono influenzati da quello che dicono le persone che si prendono cura di noi e da come lo dicono. Da qui in poi la nostra voce interiore funziona come un sistema di pesi e contrappesi interni che ci mantengono in linea con i nostri obiettivi e le aspettative sociali; e il nostro “chiacchiericcio interiore”, quindi, può essere il risultato dei molteplici ruoli che formano il nostro senso del sé.
Vi starete chiedendo il perchè di questa divagazione, che apparentemente potrebbe sembrare off topic; al contrario nell’azione del camminare, in solitaria e in compagnia, si comincia a convivere con istanti di proficuo silenzio e si azzerano progressivamente i differenti ruoli che i sistemi sociali ci ‘assegnano’. Per effettuare un salto di qualità mentale in relazione alle nostre “voci narranti interiori”, può aiutare davvero anche una passeggiata immersiva nella Natura o una sguardo al cielo stellato: alziamola qualche volta la testa per scrutare gli orizzonti… ci torna infinitamente utile e salutare!
“Contemplando la Natura, impari a essere paziente. Perché ti rendi conto che non puoi velocizzare la crescita di un albero, non puoi accelerare il corso di un fiume, non puoi costringere il sole ad arrivare prima , non puoi far smettere la pioggia. E allora non c’è da correre, c’è solo da scorrere, al ritmo naturale della vita. Hai mai camminato a piedi nudi sull’erba? Hai mai chiuso gli occhi sotto la pioggia? Ti sei mai lasciato galleggiare sul mare? Ti sei mai fermato a contare le stelle nel cielo?”
(Gianluca Gotto, Succede sempre qualcosa di meraviglioso, Mondadori 2021)
Pizzo Calabro è una cittadina tra le più rinomate del Vibonese, con uno dei borghi maggiormente pittoreschi della costa, arroccato sul pendio di un suggestivo promontorio che si erge a picco sul Tirreno, proprio al centro del golfo di Sant’Eufemia.
Pizzo, denominata anche la “Città del Gelato”, è famosa soprattutto per il suo “Tartufo”. Il tartufo di Pizzo consiste in un gelato tradizionale della pasticceria artigianale locale, diffuso oramai in tutta la Calabria e in alcune zone d’Italia. È stato chiamato tartufo perché la forma sferica imperfetta e il colore (cacao in polvere) richiamano tantissimo il più famoso “tartufo nero”. Creato dai gelatai pizzitani – una menzione speciale la merita tutta la Gelateria Dante – il tartufo di Pizzo è un gelato al gusto di nocciola e cioccolato (e anche allo squisito gusto di pistacchio), ricoperto di cacao in polvere.
A Pizzo, per festeggiare la degna conclusione del Cammino, ci siamo regalati una cena da leccarsi i baffi presso Pepe Nero. Kiko, il proprietario del ristorante ci ha trattati con un servizio di alta qualità, deliziandoci con delle divine portate a base di pesce e non solo. Un grazie anche a Giorgio per la preziosa (e gustosa) indicazione culinaria, il gestore di Ellys blue Guesthouse, struttura presso cui abbiamo pernottato per l’ultima notte prima di ripartire per Roma. La mattina seguente, in attesa del treno alla stazione di Pizzo, abbiamo scovato alcune chicche, tra citazione Leopardiane, opere di uno street artist locale e una dichiarazione di amore incondizionato.
«Ah! Venga il tempo In cui i cuori si innamorano!»
(Arthur Rimbaud, Ritornello de Chanson de la plus haute tour, “Les Illuminations”, 1872–3.)
Ogni cosa è illuminata: oggetti narranti
Charles Baudelaire nel vertiginoso incipit di Corrispondenze, sostiene che “la natura è un tempio dove colonne viventi mormorano a volte parole confuse, l’uomo le attraversa come una foresta di simboli”.
In Ogni cosa è illuminata, romanzo nato dalla penna dello scrittore americano Jonathan Safran Foer, il protagonista è un collezionista di oggetti con un qualsiasi valore storico, o meglio oggetti portatori di storie. Jonathan (ri)costruisce la storia della propria famiglia raccogliendo cose che imbusta e appende a una parete: costituiscono la progressiva composizione del suo personale albero genealogico.
Durante un Cammino, non solo il KCTC, mi piace costantemente guardarmi intorno per intercettare delle ‘tessere’ (indizi), attraverso cui ricomporre il mosaico dell’esperienza vissuta. Costituiscono scatti, istantanee che mi aiutano a fissare il ricordo dell’avventura connotata e arricchita dai cangianti colori delle nostre sfumature emotive: sono ‘cose’ che da semplici elementi sconnessi, generano una spirale di oggetti narranti in relazione tra loro.
Una piccola cima che ‘ha scelto’ di annodarsi con la forma dell’infinito (o un “infinitOtto”); un pavillon rosa; un nodo del pezzo di sopra di un costume bikini rimasto ‘orfano’; una porzione di pigna che la natura ha intagliato, trasformandola in una poetica rosa. Una lente di un occhiale da sole (probabilmente un modello ray ban a goccia), forse per ricordarmi che ogni istante rallentato è un ulteriore passo del nostro personale cammino di crescita interiore, come indossare una nuova lente che ci aiuta ad assumere punti di vista differenti attraverso i filtri delle nostre esperienze; oppure, semplicemente, per salvaguardare i nostri occhi dalla vista di un tramonto unico e spettacolare.
“Funes ricordava non solo ogni foglia di ogni albero, di ogni bosco, ma ognuna delle volte che l’aveva percepita o immaginata (…). Sospetto, tuttavia, che non fosse molto capace di pensare. Pensare significa dimenticare le differenze” (Jorge Luis Borges)
Un raggio verde di speranza
Ogni vero Camminatore ha bisogno del Passaporto del viaggiatore e, presentandolo completo dei timbri collezionati durante il percorso, è possibile ricevere il Testimonium che contiene la poetica dedica riportata all’inizio del racconto.
Ed eccoci, con il Testimonium davanti al Castello Murat, quasi sfiorati da un raggio di sole, in qualche modo come nel film Il Raggio Verde, vincitore al festival del Cinema di Venezia nel 1986. La pellicola trae diretta ispirazione da un romanzo di Jules Verne, Il raggio verde, a proposito di un fenomeno ottico prodotto dall’ultimo sospiro del sole che tramonta sul mare. Nel momento in cui la porzione superiore del disco solare si inabissa, la curvatura terrestre produce per un attimo un raggio verde; per i protagonisti del romanzo, se si è testimoni di quel momento si riesce a vedere dentro se stessi e a leggere nel cuore delle persone che si amano.
Come la foto del tramonto molto suggestiva, inviataci da Iolanda, il nostro ‘Angelo custode’. Eh si, perchè una pratica emergente proposta da chi ha ideato questo Cammino consiste nell’essere seguiti da un volontario che attraverso comunicazioni su wa fornisce progressivamente indicazioni sulle varie tappe, giorno per giorno.
La foto rappresenta la danza del sole sullo Stromboli, un fenomeno unico un po’ come il miracolo del sole ad Abu Simbel mi ha suggerito Giuseppe. L’evento naturale si ripete due volte all’anno, offrendo uno spettacolo unico al mondo, quello del sole che viene inghiottito dal cratere dello Stromboli.
“Questo è un altro aspetto rasserenante della natura: la sua immensa bellezza è lì per tutti. Nessuno può pensare di portarsi a casa un’alba o un tramonto” (Tiziano Terzani)
Quando i tramonti incendiano con il fuoco dei loro intensi colori, arancio e rosso, il mare e il cielo. In questo sfondo ardente di porpora s’intravede nitidamente la sagoma scura di “Iddu”, come gli isolani chiamano il vulcano Stromboli per distinguerlo da “Idda” (l’Etna).
Ed ecco allora che la sfera infuocata del sole, tramontando, scende lentamente nel suo cratere, un’illusione ottica dovuta a un particolare allineamento tra sole e vulcano che cambia ogni giorno in base al punto d’osservazione. Uno spettacolo straordinario che si è verificato proprio al nostro arrivo a Pizzo, sabato 10 settembre.
Chissà se anche il Collezionista di venti, l’opera di Edoardo Tresoldi, è rimasto così assorto a seguito di questo commovente tramonto!
Un uomo di oggi e di ieri, fatto di pensieri leggeri, come la rete metallica che lo compone e lo completa. Un uomo sognante che guarda l’orizzonte, il mare e le isole Eolie. Questa meraviglia artistica e il paesaggio diventano una sola cosa, capace di scambiarsi reciprocamente contenuti ed emozioni. Un uomo di due metri che guarda il mare, che si lascia attraversare dalla luce e dal mutare delle condizioni climatiche. Un personaggio capace di chiacchierare con i venti. Sempre uguale eppure sempre diverso, come ogni essere umano. La bellezza e la forza della Natura dinanzi a cui l’uomo non può fare a meno d’inchinarsi: un momento di pace con il mondo per ritrovare il senso dell’eternità.
Il sole che ‘entra in contatto’ con il cratere del vulcano, come i piedi nudi che toccano il terreno, un’’illusione’ che diventa realtà… servirebbe un vero e proprio elogio da dedicare ai nostri piedi!
Elogio dei piedi (Erri De Luca)
Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.
Fonti
Baricco A., La via della narrazione, Feltrinelli, Milano 2022
Gotto G., Succede sempre qualcosa di meraviglioso, Mondadori 2021
Quagliata A., I-learning. Storie e riflessioni sulla relazione educativa, Armando editore, Roma 2014
https://www.angolotesti.it/L/testi_canzoni_leona_lewis_11367/testo_canzone_i_see_you_985569.html
https://www.asiaticafilmmediale.it/avatar-come-il-navi-legame-con-la-fauna-di-pandora/
https://www.cinematographe.it/rubriche-cinema/focus/viva-la-liberta-recensione/
https://harrypotter.fandom.com/it/wiki/Platano_picchiatore
https://www.indiscreto.org/come-pensano-le-foreste/
https://instagram.com/camminokalabriacoasttocoast?igshid=YmMyMTA2M2Y=
https://www.internazionale.it/magazine/ed-yong/2022/08/25/le-percezioni-degli-animali
https://www.internazionale.it/magazine/caroline-williams/2022/09/08/parlarsi-dentro
https://www.kalabriatrekking.it/il-cammino-coast-to-coast/
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https://m.facebook.com/SMOESTUDIO?refid=52
https://manuelgrillo.com/2014/10/18/la-struttura-che-connette-appunti-su-gragory-bateson/
https://nordicwalkers.it/nordic-walking-cose-a-cosa-serve-come-si-pratica/
https://nospoiler.it/posts/ogni-cosa-e-illuminata-la-spiegazione-del-film-con-elijah-wood
https://www.recensissimo.com/2022/04/ammazzavampiri-2-la-recensione-del-film.html
https://time.com/collection/worlds-greatest-places-2022/6194498/calabria-italy/
https://viaggi-nel-tempo.com/il-collezionista-di-venti-a-pizzo-calabro
https://www.viniciro.it/storia-del-vino-cir%C3%B2/
https://www.youtube.com/watch?v=MDlknDTu4IE
https://www.youtube.com/watch?v=4XkghDlnkbo
https://it.wikipedia.org/wiki/Avatar_(film_2009)
Mario Cusmai, MTa® experiential learning facilitator, Teacher di Yoga della Risata® e LEGO® SERIOUS PLAY® facilitator, Dottore in Scienze dell’Educazione degli Adulti e Formazione Continua, appassionato di apprendimento esperienziale, giochi cooperativi, magia comica, di Cammini e trekking.