Più & Meno. Dai 3 anni a… “verso l’infinito e oltre”
di Mario Cusmai @cous_cous8
Unlock Learning Through Play #8
“The hand is the cutting edge of the mind” (Jacob Brobowski)
“Tutti gli umani, al momento della nascita, sono forniti di un apparato plurisensoriale, per natura. Questo formidabile apparato viene usato moltissimo nei primi anni del bambino per conoscere e per memorizzare una grande quantità di dati che saranno poi utili, nell’età adulta, per ampliare la conoscenza della realtà che ci circonda. Col passare degli anni, gran parte di questo apparato viene atrofizzato perché l’individuo, per lo sviluppo della conoscenza, dà la prevalenza alla logica e alla letteratura. Occorre quindi attivare di nuovo questo apparato che ci fa conoscere scale di valori tattili, sonori, termici, materici, di durezza e di morbidezza, di ruvidità e di levigatezza, di impenetrabilità e di penetrabilità, di equilibrio e di staticità, di leggerezza e di pesantezza, di fragilità e di solidità, ecc. Tutti valori che, spiegati a parole, diventano argomenti complicatissimi e quasi incomprensibili. Il tatto, per esempio, è uno dei sensi che può far capire tante cose inspiegabili a parole. Esercitiamoci quindi a ritrovare questi strumenti di conoscenza immediata, diretta e completa” (Bruno Munari, settembre 1994)
“Lo sviluppo dell’attività della mano va di pari passo con lo sviluppo dell’intelligenza… la prima manifestazione del movimento è quella di afferrare o prendere; non appena il bambino afferra qualche oggetto, la sua coscienza è richiamata sulla mano che è stata capace di farlo” (Montessori, 1980)
Alla ricerca dei sensi perduti: lost in digital space?
Come recuperare i sensi ‘sperduti’ nel corso dell’‘era pandemica’?
Durante la fase in cui l’unica possibilità è stata quella di realizzare percorsi di formazione digitale, spesso, è stato messo da parte il senso della vicinanza e le emozioni che il con-tatto è in grado di generare. Il tatto è stato utilizzato quasi esclusivamente per ‘armeggiare’ con i dispositivi tecnologici: tastiera, device, On/Off come ONcominciato e OFFinito!
Marcomix: Wake up wake up wake up, sveglia sveglia sveglia… Sono le 5 di mattina qui a Carbonara Sushi Station, la radio local global glocal. C’è Marcomix che vi sveglia e vi culla e v’invoglia alla giornata più calda, torrida e hot! dell’estate romana più calda, torrida e hot! degli ultimi 150 anni. Dice «Marcom, è presto, facce dormì nantro po’». Eh no, è tardi invece! Mentre voi dormite e russate, in Afghanistan si muore in guerra, perché avoja a di’ che è peacekeeping, quella è guera! E al confine birmano? Uguale! Robba de cui la stampa complice e corotta non parla. Ignorante perché ignora che ormai so morti, finiti, old media! La controinformazione siamo noi! Siete voi! Noi siamo online, onair, on demand, on time, ON! come ONcominciato! Loro so OFF! come OFFinito!
Nel passaggio estrapolato dal film Arance e martello, lungometraggio del 2014 diretto e interpretato dal blogger e conduttore televisivo di Propaganda live Diego Bianchi, il focus è rivolto alle differenti modalità di fare informazione da parte dei media ufficiali e della c.d. controinformazione. Il claim ONcominciato OFFinito è interpretato, in questa sede, come una sorta di “metafora polisemica” posizionata su un duplice livello di lettura. Da una parte richiama alcuni strumenti (giochi) presentati nelle diverse e complementari ‘EpiStorie’ di questa rubrica digitale, che contribuiscono a ridefinire paradigmi e strategie operative dei contesti educativo-formativi, in cui l’invenzione delle pratiche didattiche innovative parte dal ‘basso’, attraverso processi di costruzione condivisa di elementi della conoscenza. Dall’altra identifica un sistema educativo (Offinito) che appare sempre più stagnante e paludoso, attento quasi esclusivamente a indicatori quantitativi, alla performance e al ‘merito’ e poco orientato alla cura e rispettoso nel valorizzare i talenti creativi dei giovani, la motivazione, l’autonomia e la responsabilità: inclinazioni che favoriscono una continua spinta propulsiva, alimentando la passione nelle poliedriche sfumature della nostra vita.
In una lettera familiare, Petrarca scrisse: “Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, leggendomi pensi solo a me, e non alle nozze della figlia, alla notte che ha passato con l’amante eccetera…”, si potrebbe aggiungere oggi: a chattare sui social o altro. “Non voglio che si impadronisca senza fatica di ciò che non senza fatica io ho scritto”, aggiungeva coriaceo il poeta del Canzoniere. Ardua pretesa, eccessiva e decisamente ‘in contrattempo’ per la scuola dei crediti e dei debiti, che invita a guardare sempre più ai risultati pratici, all’efficienza acritica, alle istanze dell’economia e delle grandi aziende, “che richiedono soltanto ‘prestatori d’opera’ pronti a rispondere alle esigenze produttive”. Un mondo, insomma, in cui l’analfabetismo di ritorno non costituisce un problema, anzi [Beccaria, 2022].
La retorica meritocratica tende a trasformarsi in una forma di autolegittimazione delle élites. «Chi dice merito, senza specificare che cosa intenda e come intende raggiungerlo, nella migliore delle ipotesi non sta dicendo nulla; nella peggiore, nasconde una cattiva coscienza», ha chiosato recentemente il filosofo Pasquale Terracciano.
“Tra le azioni – molto discutibili – maggiormente simboliche del nuovo governo insediatosi pochi giorni fa, c’è il fatto che accanto all’espressione “Ministero dell’Istruzione”, sia stata aggiunta la specifica “del Merito”. Aldilà che sarebbe davvero arrivato il momento di ragionare in termini di Apprendimento (e non di (D)istruzione), non c’è nulla di più ‘siderale’ dai contesti educativi del concetto di “merito”. Nel 1958 lo psicologo Michael Young pubblicò la satira distopica “The rise of meritocracy” per mettere in luce la nascita di una società profondamente ingiusta e disumana, fondata sul merito come fonte di competizione. Il “merito”, scriveva Young nel suo romanzo, costituisce la messa in pratica dell’intelligenza attraverso l’energia, e oggi va costantemente misurato, comparato, potenziato e, quindi, premiato. Con il termine intelligenza, descrive Young, si intende “la capacità di aumentare la produzione, direttamente o indirettamente: questa ferrea misura è il criterio con cui la società Giudica i suoi membri”. Nella ‘scuola del merito’ i bambini e i ragazzi sono già al lavoro per aumentare la produttività sociale: non c’è tempo e modo per fiorire, per conoscersi, per apprendere ad apprendere. Non c’è via per attrezzarsi a ripensare un giorno la società, né per coltivare serenamente i talenti. Nella scuola del ‘merito’ al centro troviamo l’idea di “premiare i migliori” – ossia i più produttivi – e punire i peggiori. dimenticando in questo modo il senso profondo, democratico e inclusivo dell’Istituzione Educativa, che non ha come finalità quella di avviare al lavoro ma preparare alla vita, e che deve prendersi cura degli ‘ultimi’ quanto e più dei ‘primi’. La meritocrazia produce disparità economica e contribuisce a creare significative voragini sociali tra i cittadini, svendendo il senso della vita dietro all’ansia della religione della performatività” (Contributo estrapolato dalla pagina Facebook di Tlon).
Uno scenario globale in qualche modo già delineato diversi anni fa da Sir Ken Robinson in Changing paradigms e in uno dei TED con più visualizzazioni, la scuola uccide la creatività.
Ma infine lei (Rodari) cosa vuole, che siano tutti promossi? (…)
Si può fare una scuola con tutti promossi: si può fare benissimo. Metta che la scuola, qualsiasi scuola, cominci la mattina alle nove e finisca la sera alle cinque. Con dentro, si capisce, non solo ore di matematica e di latino, ma anche la colazione, anche la ricreazione, anche lo studio individuale per chi ne ha bisogno, anche le ‘ripetizioni’. E i compiti. A scuola, anche quelli. In gruppo: i più bravi aiutano i meno bravi. E la biblioteca: a scuola anche quella, così che tutti possano consultare l’enciclopedia e non solo quelli che hanno i soldi per comprarsela e una stanza per tenercela. (Gianni Rodari in Roghi, Lezioni di Fantastica, 2020)
Dopo questa digressione, zoomando nuovamente sulla riflessione iniziale relativa alle nostre percezioni sensoriali, anche l’olfatto, il più antico dei sensi, quello da cui è partita l’evoluzione dell’uomo, sembra essere stato un outsider nel corso della “transizione digitale”; così viene meno l’odore delle aule e, metaforicamente, delle condizioni climatiche facilitanti o conflittuali che sfociano in potenziale disagio. Predominano, ma già nella società delle immagini in vorticoso movimento avevano un ruolo dominante, la vista e l’udito; del resto, sono o non sono i sensi distali che colgono ciò che è posto a distanza? [Tulli, 2021]
E ancora più lontano, quasi ‘anni luce’, il senso del gusto che può contare solo sul supporto delle immagini che raccontano storie, ovvero sui ‘format narrativi’ dei vissuti esperienziali collocati nelle nostre memorie sensoriali.
I sensi ricordano le esperienze emotivamente coinvolgenti e le immagazzinano nelle ‘memorie’, grazie alla narrazione; quest’ultima interagisce in modo virtuoso con ognuno di essi: vista, udito, tatto, olfatto e gusto hanno una struttura narrativa e sono in relazione con la memoria, che opera attraverso format narrativi. Possiamo ad esempio individuare un gusto perché ci ricordiamo del suo sapore attraverso le immagini che richiamiamo, come accade ad Anton Ego, il critico di cucina più famoso di Parigi, quando assapora una rielaborazione della ratatouille: in una scena dell’omonimo lungometraggio animato prodotto dalla Pixar (Ratatouille, appunto), improvvisamente, attraverso un flashback, tornano alla mente di Ego i ricordi – sotto forma di immagini – della sua infanzia, quando mangiava la ratatouille preparata da sua madre.
È necessaria una spinta rigenerativa nelle pratiche emergenti di formazione in Rete e nei percorsi di apprendimento allestiti in modalità blended, per ‘recuperare’ senso e ricreare i sensi ‘virtualmente’ perduti: il gioco costituisce un potenziale volano per realizzare questa riconnessione di senso tra i sensi ‘sperduti’.
Quali percorsi educativi riserviamo alla fantasia e quale fantasia trova spazio nei processi educativo-formativi?
Educhiamo il cervello, il corpo… e la fantasia? In un mondo dove tutto è immagine, tutto (o quasi) è visibile, quale spazio è previsto per l’immaginazione e per il ‘filo’ invisibile che l’alimenta? Senza fantasia non si viaggia, non si scorge l’altra faccia della luna, quella dopo la seconda stella a destra, quella dell’isola che non c’è abitata dai bimbi sperduti.
E i sensi (e la Fantasia), con particolare riguardo al tatto, costituiscono una componente significativa della proposta pedagogico esperienziale di Bruno Munari. Artista poliedrico che esprime il suo pensiero in aree differenti, passando dal design all’illustrazione, dalla pittura alla grafica, dai giochi alla scultura, fino a giungere a esplicitare il suo punto di vista anche in una prospettiva che diventa squisitamente didattica. In quest’ultimo ambito, che realizza mantenendo sempre lo status di artista, realizza un qualcosa mai visto prima [Sperati, in Toccare la bellezza, 2020].
Quale altro artista ha voluto, e saputo, dedicare un’attenzione specifica all’infanzia che si concretizza sia attraverso la realizzazione di libri e giochi dedicati ai bambini, sia attraverso la progettazione di un nuovo approccio alla didattica dell’arte, sperimentato per la prima volta alla Pinacoteca di Brera (Milano, 1977) e poi diffusa in tutto il mondo?
Giochi plastici, sensi e connessioni sinaptiche: per una pedagogia dell’utopia
Le azioni e le relazioni con gli oggetti, alimentate attraverso i sensi, contribuiscono ad aumentare la plasticità delle connessioni sinaptiche. La nostra individualità si annida nelle connessioni; queste ultime e le loro guaine mieliniche si modificano con l’apprendimento. Le nostre connessioni sono analoghe alle mani di un pianista o di un violinista: l’artista impara a comporre con la loro forma iniziale, talvolta maldestra, ma scopre poi che non è rigida e che si adatta sottilmente allo strumento con cui egli si esercita.
Quando parliamo di plasticità neuronale, dobbiamo intenderla alla lettera: i neuroni si spostano, le loro terminazioni assonali crescono e si retraggono; e sulle loro arborizzazioni dendritiche si osserva la nascita e la scomparsa costante di numerosi germogli, pronti ad accogliere rinnovate sinapsi. L’apprendimento si basa sul rinforzo e sull’eliminazione delle sinapsi, le quali costituiscono le tracce di memoria delle nostre esperienze e modificano il comportamento dei nostri neuroni: l’attività neuronale modula selettivamente la forza e la stabilità delle sinapsi [Dehaene, 2022]. I neuroni costituiscono le ‘farfalle dell’anima’, come nei poetici schizzi realizzarti Santiago Ramòn y Cajal, anatomista e artista spagnolo.
“La mia anima è come una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suonino e stridano dentro di me: corde, arpe, timballi e tamburi. Mi conosco come una sinfonia” (Fernando Pessoa, il libro dell’inquietudine, 1982).
A proposito della sinfonia dei sensi, Bruno Munari era solito ricordarci che non erano solo cinque; infatti ci faceva notare che esiste anche il senso riguardante il calore o la temperatura: il senso termico. Filippo Marinetti parla di sensi nuovi non ancora precisati, come il senso delle spalle quando si percepisce la distanza o la vicinanza delle persone senza ricorrere alla vista. Rudolph Steiner ne individua dodici; Gianni Rodari nomina il senso del libro e dell’utopia; quest’ultima altrettanto rilevante come la vista o l’udito: è necessario educarla come un’attitudine, sollecitare una disposizione a elaborarla in modo autonomo. L’utopia non è meno educativa dello spirito critico: “l’utopia serve a camminare” (Eduardo Galeano). Basta trasferirla dal mondo dell’intelligenza, a quello della volontà. Rodari ci insegna un metodo che ruota intorno all’utopia.
“Il senso dell’utopia, un giorno sarà riconosciuto tra i sensi umani alla pari con la vista, l’udito, l’odorato, ecc. Nell’attesa di quel giorno tocca alle favole mantenerlo vivo e servirsene, per scrutare l’universo fantastico”.
Se immaginiamo di prendere in mano una delle magiche ‘favole’ inventate da Bruno Munari, come Toc Toc Chi è? Apri la porta, e lo sfogliamo a occhi chiusi, le nostre dita e i relativi polpastrelli scoprirebbero già qualcosa di insolito in copertina e probabilmente seguirebbero lentamente la circonferenza del buco sviluppando una prima curiosità.
Poi, aprendolo e continuando l’esplorazione con la mano, si renderebbero conto che il libro di fatto “è costruito sulla copertina” dove è stata incollata, sulla pagina di destra, una mezza pagina di cartoncino, di forma rettangolare, sulla quale si piega l’altro lembo del cartoncino e al’interno il ‘gioco’ si ripete con pagine che diventano via via sempre più minuscole: il gioco trasformativo della narrazione affidato semplicemente ai formati delle varie pagine che compongono l’oggetto libro.
Proseguendo su questo percorso di ricerca, che ci propone la massima raffinatezza dell’oggetto libro attraverso l’essenzialità e una fruizione sensoriale e sensibile, Munari nel 1980 sviluppa una vera e propria enciclopedia dedicata ai bambini che non sono ancora in grado di leggere: I Prelibri.
Si tratta si una collezione di 12 testi, presentati in un packaging che rimanda a una piccola biblioteca in cui sono esposti libri delle medesime dimensioni, senza parole, senza immagini, ma significativi nel fornire informazioni ai bambini per la qualità e diversità dei materiali (dal panno di legno al cartone), per le diverse rilegature (con i punti, con lo spago, incollati) e per le sorprendenti sorprese che contengono (un ciuffetto di pelo, un bottone, pagine trasparenti). La fruizione di questa meraviglia avviene in modo globale, con un sincronismo sensoriale che avvolge completamente il piccolo ‘lettore’: qui legge con le mani, con il viso, talvolta con la bocca e con le orecchie [Sperati, in Toccare la bellezza, 2020].
E il sesto senso? Chi lo ha mai sperimentato? L’individuazione di questo ‘sesto senso’ dà conto di come Bruno Munari abbia fatto, per tutta la sua traiettoria biografica, dell’esplorazione, della sperimentazione e dell’osservazione dei materiali il tratto caratteristico. Questo interesse fu da lui sviluppato nel design didattico di giochi e giocattoli. Pensiamo alla Scimmietta Zizì, progettata nel 1953.
L’idea nasce dalla relazione tra due materiali differenti come la gommapiuma e il filo di metallo. A partire dalle caratteristiche peculiari della gomma piuma, Munari ne inventa un uso originale facendolo ‘dialogare’ con un semplice filo di metallo che diventa lo ‘scheletro’ del primo giocattolo animato. I bambini hanno modo di interagire con un giocattolo che è trasformabile e plasmabile attraverso la loro azione e che rivela una relazione con la mobilità dell’animale stesso.
Più & Meno ‘si gioca così…’
La riflessione sui giochi ci conduce alle “scatole gioco” che Munari realizza tra 1959 e il 1976, come Più & meno. Questa scatola contiene un gioco molto suggestivo, che contribuisce a sollecitare il linguaggio, la fantasia e l’attitudine a costruire relazioni partendo da immagini che prendono forma sovrapponendo o togliendo delle tessere che comprendono, su fondi trasparenti, dei disegni o porzioni di disegni ‘più o meno’ complesse. Questo gioco è corredato anche da tessere dello stesso formato, ma realizzate con la “carta da lucido da geometra”, un materiale che ci offre una sensazione come di nebbia e al tatto sono percepite maggiormente ruvide. Inoltre, compongono il gioco svariati cartoncini – più spessi e più duri – che hanno nello spazio centrale un foro di differenti dimensioni, dal più piccolo al più grande, con contorno frastagliati tali da permettere, se sovrapposti, di creare un ‘effetto grotta’.
Il gioco visual è composto da 72 carte che contengono diverse immagini; la maggior parte di queste (48) sono su fondi trasparenti, così da poterle sovrapporre per comporre un ‘puzzle’ di immagini più complesso. Sovrapponendo alcune immagini di alberi si compone un bosco; sovrapponendo al bosco il disegno della pioggia, o quello del sole e/o della luna, o del volo degli uccelli o di un cane che passa, si plasma a piacere, per approssimazioni successive, la ‘meta-immagine’.
Questo è il gruppo delle immagini sovrapponibili:
- 6 carte di animali;
- 10 carte di vegetali;
- 3 tipologie di rocce che è possibile posizionare in svariate modalità;
- una carta di stelle;
- 4 carte di nuvole;
- un cielo con luna;
- 4 carte che rappresentano differenti intensità di pioggia;
- 2 carte di neve;
- 2 carte di sole;
- 8 cartoni forati per realizzare una grotta nelle modalità preferite;
- 4 carte per comporre la ragnatela sul ramo, proprio nella sequenza realizzata dal ragno;
- un ponte;
- un’automobile;
- una ringhiera;
- un uomo con l’ombrello aperto;
- un uomo in bicicletta;
- una casa;
- un muro;
- un aereo;
- una barca;
- un mare da mettere sotto la barca che, capovolto, si trasforma magicamente nel cielo che fa da sfondo alla rotta percorsa dall’aereo;
- una finestra, un punto di vista su ciò che si crea.
Si può giocare in gruppo raccontando storie condivise; si distribuiscono le carte e il ‘capogioco’ inizia con una prima sovrapposizione di due carte, esplicitando il significato. Gli altri giocatori a turno aggiungono le loro carte, continuando il racconto delle immagini che cambiano pelle, mutano.
Un gioco che non ci si stanca mai di giocare e che consente di inventare e costruire infinite storie, restituendo al bambino il piacere di essere lui l’artefice del racconto: emerge la valenza pedagogica della narrazione come gioco trasformativo. Questo aspetto non è per nulla banale, se si pensa che oggi bambine e bambini trovano le storie già confezionate e pronte per l’uso, mortificando in questo modo la fantasia e la capacità di inventare.
I giochi ideati da Munari sono ‘infiniti’; non sono strumenti a senso unico che prevedono una sola modalità di esecuzione, rispetto alla quale il bambino è come invitato ad allenarsi per migliorare la ‘prestazione’. Le scatole di gioco, al contrario, mettono insieme componente ludica e piacere della sperimentazione che favoriscono un’azione esplorativa di molteplici possibilità; inoltre, consentono al bambino di interiorizzare un modello operativo di costruzione della conoscenza che avviene in un contesto giocoso.
In analogia con la filosofia progettuale delle ‘Macchine inutili’, perché da esse non si ricavano beni di consumo materiali. Utilissime, quindi, perché, spiegava Munari, producono beni di consumo spirituale (immagini, senso estetico, educazione del gusto…). Come i giochi dei bambini!
Fragile: MANIggiare con cura
Munari ha sempre sostenuto e ribadito la necessità di rivalutare il senso del tatto – necessità espressa, ad esempio, anche dalla pedagogia montessoriana -, trascurato in una società rivolta a privilegiare soprattutto la vista e l’udito. Mani che toccano, manipolano, cercano, creano; curiose di sperimentare le qualità , le consistenze, le resistenze, la duttilità, la sensazione che passa attraverso il con-tatto e che contribuisce a trasformare ogni materiale.
Alcune influenze e suggestioni culturali colte da Munari all’inizio del suo percorso artistico e creativo provengono da certe poetiche del futurismo – con il manifesto di Marinetti intitolato Il Tattilismo – e, inoltre, dalle nuove teorie del Bauhaus. In entrambi le correnti il comune denominatore è la rivalutazione di tutti i sensi in ambito artistico ed estetico, con un’esaltazione particolare dell’educazione al tatto. Per la prima volta, i materiali non sono utilizzati per le loro qualità visive o espressive ma per le sensazioni che trasmettono al contatto con le mani, sensazioni che assumono un significato codificato. Anche il pedagogista tedesco Friederich Fröbel, ideatore delle “scuole-giardino”, il kindergarten, mette al centro i giochi sensoriali alla base dello sviluppo creativo del bambino.
Your Hands know a lot more than you think they know
Your hands know things that your mind doesn’t know that it knows!
Mani che pensano, mani che immaginano nel silenzio, immerse nello stato di flusso esperienziale, quella dimensione di assorbimento immersivo con l’esperienza che si sta vivendo, uno stato in cui la persona è così coinvolta in un processo che nient’altro sembra essere importante.
“Esiste un momento in cui le parole si consumano e il silenzio inizia a raccontare.” (Kahlil Gibran)
Fantasia rappresenta un lavoro significativo sulla creatività; pubblicato nel 1977, è un piccolo capolavoro ricco di spunti di riflessione. Bruno Munari, in questo volume, propone una distinzione tra fantasia, invenzione, creatività e immaginazione. Poi, le mette in relazione con l’intelligenza e l’apprendimento, portando al lettore una serie di esempi illuminanti. Descrive queste quattro attitudini, in sintesi, come segue:
- Fantasia: permette di pensare a tutto ciò che non esiste, anche assurdo e irrealizzabile:
- Invenzione: è la realizzazione di qualcosa che prima non c’era ma solo per uno scopo pratico, senza porsi problemi estetici;
- Creatività: combina fantasia e invenzione per produrre qualcosa di funzionante e realizzabile (cioè un’applicazione concreta della fantasia);
- Immaginazione: permette di immaginare, appunto, quello che la fantasia, l’invenzione e la creatività producono.
‘L’immaginazione è il motore del destino. Per noi il destino non è iscritto nella necessità dell’istinto, ma è una possibilità da scrivere creativamente. L’educazione dell’immaginazione e la sua continua messa a punto diventa destino. In che modo?
Attraverso le immagini che mi offre il mondo. Per questo amiamo le storie, perché mostrano mondi possibili, ipotesi narrative sulla vita (e la morte) che ci aspetta.
Per trovare e conservare immagini di destino capaci di guidarci in porto dobbiamo praticare un certo digiuno immaginativo e il silenzio dell’attenzione. Solo così riusciamo a ricevere immagini che ci fanno entrare in risonanza, ci risvegliano, perchè sono richiami del futuro che è già dentro di noi, ma che ha bisogno di darsi un volto. Sono immagini che vanno coltivate, approfondite, interrogate, appendendole, come poster, alle pareti dell’anima. I poster che avevamo in camera erano le nostre ipotesi di destino e anche le fragilità che dovevamo affrontare.
Ognuno di noi ha una costellazione di immagini guida, che lo voglia o no. Ma la rotta va impostata seguendo le stelle giuste, altrimenti sarà un dis-astro (la stella contro) e questa operazione richiede qualche minuto di meditazione silenziosa ogni giorno. Quali sono le nostre? Solo così potremo abbracciare destini che diventano destinazioni e non naufragi. (Alessandro D’Avenia).
Dovremmo tutti ricominciare a immaginare – e giocare- soprattutto per rimanere vivi (e vitali). In tempo di guerre e crisi di tutti i tipi che si intrecciano, abbiamo bisogno di pensare e agire in modo diverso, sviluppando ‘abitudini sistemiche’. E se fosse proprio il gioco il principale moschettone immaginativo con cui cominciare a scalare le pareti del precipizio in cui siamo finiti?
Più o meno: un’applicazione in pratica
Più o Meno è stato utilizzato dall’Autore nell’ambito dell’evento dedicato alla genitorialità consapevole organizzato dal CIAPE – Italian Permanent Learning Centre a Fiuggi in cui professionisti e rappresentanti di buone prassi provenienti da diverse regioni d’Italia hanno alternato momenti formativi ad attività pratiche e di lavoro di gruppo per la co-creazione di future iniziative settoriali.
Ecco alcuni momenti e la presentazione di Mario Cusmai da rivedere e alcuni momenti con i partecipanti.
Fonti
Beccaria G., In contrattempo. Un elogio della lentezza, Einaudi, Torino 2022
Dehaene S., Vedere la mente. Il cervello in 100 immagini, Raffaello Cortina, Milano 2022
Roghi V., Lezione di Fantastica. Storia di Gianni Rodari, Laterza, Bari 2020
Toccare la bellezza, Corraini editore, Mantova 2020
Tulli F. (a cura di), Il formatore digitale. Strumenti e metodi per l’aula a distanza, Castelvecchi, Roma 2021
https://www.attendiamoci.it/peterpan/
https://www.che-fare.com/autore/pasquale-terracciano/
https://core.ac.uk/download/333570557.pdf
https://corraini.com/it/le-macchine-di-munari.html
https://corraini.com/it/piu-e-meno.html
https://www.ecopedagogia.it/Friedrich%20Froebel
https://www.facebook.com/associazionetlon
https://www.greenwomam.it/silent-book/
https://www.iepp.es/it/teoria-del-flow/
https://learningthroughplay.com/
https://www.memofonte.it/files/Progetti/Futurismo/Manifesti/II/147.pdf
https://movieplayer.it/news/lightyear-scena-tagliata-origini-verso-infinito-e-oltre_115499/
https://playfactory.it/rodari-e-il-gioco-fantastico-della-narrazione-vii/
https://playfactory.it/touching-beauty-through-play/
https://playfactory.it/toccare-la-bellezza-attraverso-il-gioco-ii-puntata/
https://saracappelletti.com/fantasia-bruno-munari/
https://www.sirkenrobinson.com/#preorder
https://www.succodarte.com/noi-si-che-parliamo-di-bambini-con-bruno-munari/
https://www.ted.com/talks/sir_ken_robinson_do_schools_kill_creativity
https://www.youtube.com/watch?v=zDZFcDGpL4U&t=41s
https://www.youtube.com/watch?v=gGh5C5xaB0E
Mario Cusmai, MTa® experiential learning facilitator, Teacher di Yoga della Risata® e LEGO® SERIOUS PLAY® facilitator, Dottore in Scienze dell’Educazione degli Adulti e Formazione Continua, appassionato di apprendimento esperienziale, giochi cooperativi, magia comica, di Cammini e trekking.